martedì 7 maggio 2013

Lontano e cosciente

Ve lo dico Nutro & Crudo...

Lontano e cosciente
       “La gioia deve contenere il dolore, il dolore deve essere trasfigurato in gioia."

 F. W. Schelling, Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana, 1809


La variazione di uno stato di cose nella nostra esistenza, magari improvvisa e negativa, esige una riflessione sul senso della distanza dalla e dell’accettazione della stessa.
Pensiamo al nostro sguardo quando incontra l’orizzonte, guardando il mare: nonostante quella linea immaginaria non ci lasci vedere oltre sappiamo che il mare non finisce in quel punto. Possiamo allora dire che la coscienza di un limite è già una possibilità di guardare lontano, è un desiderio di superarsi.
La distanza suggerisce una prospettiva diversa dalla quale guardare ancora, non ha importanza se dalla riva o da una terrazza, quand’anche fosse solo immaginarlo, l’orizzonte. E' un desiderio di differenza che si realizza nell'esigenza di comunicare il proprio stato, di liberarsi dall'unica visione che abbiamo di noi stessi quando siamo in difficoltà e che spesso, a causa delle paure, troviamo accomodante.
La differenza si presenta a sua volta come una scelta fra ciò che è bene per noi e per chi ci sta accanto o intorno: la relazione tra il sé e l'altro da sé è un rischio che corriamo, perché vogliamo l'altro come persona affettiva, ma anche una testimonianza della capacità di formare le emozioni inespressioni della vita, quali forti motivazioni al cambiamento.
L'accettazione qui non risulta una resa, bensì è un passaggio da un momento statico e oggettivo, da ciò che si dà nel presente come tale, all’azione soggettiva e al contempo associativa, che guarda invece al futuro: è la tensione verso qualcosa della quale abbiamo ancora bisogno piuttosto che l'attenzione a ciò che non abbiamo più. L'ancora diviene promessa nel tempo di aver cura di sé, senza cedere spazio vitale allo sconforto del presente.
Coltivare dunque progetti sulla base dell'immaginazione, dell'osservazione, dell'empatia, diviene un'arma di riconoscimento della sofferenza come aspetto fra i tanti della vita e non come un'esperienza insormontabile.
A tal punto, la mediazione tra la lontananza e la coscienza, tra il pensiero e l'azione, potrebbe rivelarsi creativa (si pensi alla pittura, alla poesia, alla musica, alle rappresentazioni teatrali,etc.), una ricerca espressiva dell’equilibrio tra le difficoltà e le possibilità, entrambe reali.
La profondità di un dolore, legata a un disagio importante, incide sulla vita di una persona, se non si trasforma nella risposta di uno spazio più ampio, fuori e dentro di sé, nel quale pensarsi, se non si comprende che è il modo di affrontare le cose a determinare la qualità di un’esperienza.
Vivere intensa-mente è la difficoltà principale del giorno d'oggi: tutto si “consuma”freneticamente e la vita appare frammentata piuttosto che unitaria, cioè priva di quell'operosità coscienziosa che costruisce sia dai momenti drammatici che dalla leggerezza, che non è però sinonimo di superficialità. L'incapacità di rallentare i tempi impoverisce la vita relazionale, sminuisce l'aspetto performativo della vita per cui il pensiero non suggerisce- secondo la tradizione orientale- parole e opere buone, o meglio, giuste.
Bisogna muovere dalla condivisione alla realizzazione, e viceversa, riportare lo sguardo al senso delle cose o quantomeno imparare a riconoscerle e a valutarle secondo la loro importanza, perché più si guarda lontano più si è vicini a sé stessi.

(della filosofa e counseler contemporanea Stefania Vacca)

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